Porzüs: è simbolo tragedie confine orientale
Saluto dell’on. Debora Serracchiani alla cerimonia di commemorazione dell’eccidio di Porzus
9 febbraio 2020
Signor Sindaco, Signor presidente dell’Associazione Partigiani Osoppo, signor Presidente della Regione, Autorità e cittadini,
Innanzitutto ringrazio dell’onore che mi è concesso, di tornare tra voi a commemorare i tragici fatti che il 7 febbraio 1945 si consumarono alle malghe di Porzus. Siamo qui perché animati dal desiderio di rinnovare il nostro omaggio alle vittime di una strage che è stata definita il più grave scontro interno al movimento della Resistenza italiana e che rappresenta in modo emblematico le contraddizioni della nostra storia, e il sangue che ne stilla. Siamo in uno dei luoghi più altamente simbolici della drammatica complessità della nostra regione, la quale racchiude le testimonianze più crude delle diverse forme in cui fu declinato il totalitarismo e i contrapposti nazionalismi nel Novecento. Non mi astengo dal chiamarli con il loro nome: nazismo, fascismo, comunismo e stalinismo.
Siamo qui a compiere il pietoso e civile compito che anni fa ci ha moralmente assegnato il presidente Napolitano, quello di non voler ignorare “zone d’ombra, eccessi e aberrazioni” che, se non possono oscurare il valore storico del movimento di liberazione dell’Italia dal nazifascismo, vanno tuttavia ricordate e non rimosse. Siamo qui per rendere giustizia e mostrare rispetto a vittime innocenti, stritolate dai confliggenti obiettivi verso cui spingevano le masse della geopolitica, tra i partigiani di Tito e chi voleva liberarsi dal giogo nazifascista senza rinunciare all’Italia.Il confine orientale, come una faglia tettonica, ha visto drammi e tragedie elevarsi a punte inedite di intensità e ferocia, e dolorosamente trascinarsi ben oltre la fine ufficiale delle ostilità, patendo lacerazioni e contrapposizioni anche nei decenni a seguire.
A noi è stato dato di ricevere in custodia la memoria di infinite sofferenze, di vite spezzate, di famiglie divise, di odio che non si è ancora estinto, di grandi atti di umana solidarietà e comprensione.
A noi è stato dato il compito di ricostruire una convivenza spezzata, riprendere il dialogo interrotto tra vicini, dissipare la diffidenza tra simili, cancellare una malsana sovrapposizione tra lingua, identità e ideologia. L’abbiamo fatto nel nome di un’umanità più giusta e grazie a un’idea d’Europa che qui ha preso corpo quando sono cadute, per noi definitivamente, le barriere confinarie.
Esemplare è stata l’opera di riconciliazione che è stata qui compiuta, favorita dalla caduta della Cortina di ferro ma soprattutto perseguita con tenacia dalle Amministrazioni locali e da due straordinari protagonisti della storia friulana come don Redento Bello e Giovanni Padovan. E’ un risultato cui dobbiamo guardare con soddisfazione ma cui va prestata una costante opera di vigilanza e rafforzamento ideale, perché il risorgere di anacronistiche divisioni è meno scontato oggi di quanto lo fu anche solo pochi anni or sono. Ricordiamo perciò che la Resistenza in queste terre fu qualcosa di più ampio, profondo e solido degli scontri fratricidi.
Ricordiamo con orgoglio e gratitudine l’esperienza della Zona Libera del Friuli Orientale, in cui la divisione unificata Osoppo-Garibaldi “Natisone” prende e difende nell’estate del ’44 un territorio di circa 70 kmq, con i comuni di Attimis, Nimis, Faedis, Lusevera, Taipana e Torreano di Cividale, con 20.000 abitanti. Qui, come in altre parti del nord Italia dove si ebbero le cosiddette “repubbliche partigiane”, furono gettati quei “semi della Costituzione” da cui germogliò e prese vita la Repubblica che oggi conosciamo, con i diritti inviolabili scolpiti nelle sue Istituzioni.
Ricordiamo che tra gli ultimi difensori della Zona Libera del Friuli Orientale vi furono i nove partigiani osovani che persero la vita a Costalunga, bruciati vivi in una stalla alla fine del settembre 1944. Lì, ora, rimane solo una targa a ricordarli, ma essi non furono meno eroi degli altri. Furono tra i tanti che risposero a un appello potente di libertà, e per essa morirono. A maggior ragione, conoscere Porzus e la sua vicenda storica è un dovere per chi vive queste terre, è un dovere per tutti gli italiani, ed è un passaggio ineludibile per chi individua nei valori della lotta di Liberazione il fondamento della Costituzione repubblicana. Quei valori possono esprimere tutta la loro potenza rigeneratrice solo se viene raccolta la forza di riconoscere gli errori commessi. Credo che questo percorso sia stato fatto in buona parte qui, ed è asupicabile che il buon esempio s’imponga anche in altre parti, dove contrapposizioni che parevano superate sembrano continuare, quando non sono resuscitate ad arte. La storia, e la vicenda di Porzus in particolare, ci insegna che quando un potere costiuito è pronto a calpestare la libertà o a sopprimere la vita di un singolo individuo, là si aprono le porte al compimento di tragedie e barbarie.
Ed ecco allora perché siamo qui: per difendere la libertà e la democrazia, ma anche la tolleranza e la solidarietà, senza le quali la nostra amata Repubblica sarebbe un organo freddo di dominio e controllo.
Viva la Brigata Osoppo!
Viva l’Europa unita!
Viva l’Italia!