Porzüs: pace sul confine orientale
Sono nato su questo bellissimo e spesso tragico confine orientale. Sin da bambino ho visto quanto nazionalismi, occupazioni, guerre – sempre decise altrove – abbiano lasciato ferite profonde, divisioni e lacerazioni, sulle genti di queste terre.
L’impegno, o forse il sogno, non è mai stato per un’irragiungibile memoria condivisa ma sì per una seria analisi storica, scevra da opportunismi e da comode visioni di parte che spesso giustificano semplicemente l’esistenza di anacronistici antagonismi: esisto perché ho un nemico. Aspiriamo solo a uno squarcio di vera storia qui, sul confine orientale, che faccia chiarezza per tutti. Una storia in cui possano riconoscersi coloro che quei drammi hanno vissuto direttamente o per anni ne hanno subito le conseguenze. Una storia che permetta di continuare a festeggiare per la caduta dei confini, per sbarre che non si rialzeranno più, per la conquista di un’Europa di tutti, che sia un’opportunità di guardare avanti, rilanciarsi e crescere finalmente insieme.
Proprio perché ho vissuto le divisioni, gli sguardi e le parole non dette del mio piccolo paese sono ancora oggi immensamente orgoglioso di aver accompagnato, quasi ragazzo, il primo dirigente della sinistra alle malghe di Porzus. Sono stato più volte sul luogo dell’eccidio e sempre ho consapevolmente percepito quanto fosse tragico quel delitto, perché compiuto da mano che si credeva amica. Ma non ho mai dimenticato che le nostre vallate sono state anche la straordinaria esperienza della Zona Libera del Friuli Orientale che ha reso libero un territorio già chiamato Adriatische Kunstenland e regalato ai cosacchi. Con lo stesso orgoglio e senso di responsabilità con cui ho accolto il presidente Napolitano a commemorare l’eccidio di Porzus, ricordo ogni anno le vittime, i deportati e l’incendio nazifascista dei nostri paesi. In questi giorni abbiamo ricordato la tragedia dellaShoah e con questa il fascismo complice delle SS, che perseguitava ogni diversità religiosa, etnica e politica, anche qui, alla Risiera di San Sabba come nei campi di concentramento “degli slavi” a Visco e Gonars.
In questi giorni mi sono recato al Centro raccolta profughi di Padriciano sul Carso triestino, dove migliaia di italiani istriani e dalmati hanno provato a sopravvivere e lottato per tornare a vivere dopo che la geopolitica e le ideologie avevano distrutto la loro esistenza.
L’Italia non solo aveva perso una guerra ma era stata fascista e invasore, e noi eravamo la folla urlante sotto il balcone alla promulgazione delle leggi razziali. Non ci sono giustificazioni per gli eccidi, per i campi di concentramento o per le foibe, e provare ad appropriarsene, tirarle da una parte politica non solo non ci fa fare passi avanti nella verità storica ma offende le vittime stesse di quei crimini. Il nostro territorio, le mie vallate, sono state vittime di estremismi politici di ogni sorta, hanno subito fisicamente la cortina di ferro ed ora sono convinto vogliano guardare avanti.
: Credo sia tempo di ricordare e ascoltare solo la lezione della storia, non chi urla di più, non chi cerca consensi appropriandosi delle tragedie. I diversi fanatismi e le frontiere li abbiamo provati sulla nostra pelle. Abbastanza, credo, per capire che per avere pace non servono nuovi confini ma una vera Europa, capace di farci crescere insieme su questo martoriato e bellissimo confine orientale.