Energia: transizione per fasi chiare e concordate
L’intervento della senatrice Tatjana Rojc al convegno “Pnrr: l’Italia tra energia e mobilità sostenibile”, organizzato a Veronafiere nell’ambito di “Oil and nonOil”, il salone dedicato a energie, carburanti e servizi per la mobilità
Egregi tutti,
vorrei ringraziare gli organizzatori per l’invito a questa riflessione che implica un complesso riferimento non solo nazionale, ma anche uno sguardo critico e approfondito verso un futuro prossimo che determinerà la vita della società, del Paese, del mondo occidentale.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza accoglie una specifica richiesta che viene fatta per accedere ai fondi e quindi il capitolo dedicato all’Ambiente si presenta come ampio e abbastanza complesso. Da una parte, quindi, il quadro appare sempre più preoccupante e sempre maggiori sono le voci che chiedono ai Paesi più sviluppati di dare un segnale di impegno vero. Dall’altra, però, ci si rende conto quanto lento e complesso risulti essere il processo che non può in nessun modo essere inteso come qualcosa che l’Italia, così come altri Paesi, possa intraprendere motu proprio e in tempi brevi.
Va inoltre fatto presente, e credo sia molto chiaro a tutti, che una transizione di queste proporzioni debba essere intesa come una ridefinizione di ampi segmenti della società, quindi dai fornitori alle imprese ai lavoratori ai distributori che in qualche modo saranno messi di fronte a qualcosa di epocale. Dunque nessun approccio semplicistico, ma un progetto per fasi chiare e concordate con tutti gli attori.
Dal punto di vista tecnico-normativo va assolutamente sottolineato l’impegno dell’Italia a migliorare la sicurezza energetica, la tutela dell’ambiente e l’accessibilità dei costi dell’energia, in linea con gli obiettivi europei in materia di energia e ambiente. Mi soffermerò nello specifico sul settore del gas, che abbiamo avuto modo di trattare in Commissione Esteri: il principale obiettivo è quello di assicurare un sistema più sicuro, flessibile, resiliente e in grado di far fronte alla volatilità del mercato e di sostenere lo sviluppo delle fonti rinnovabili, garantendo al tempo stesso la copertura della richiesta, soprattutto in relazione ai picchi della domanda coincidenti con bassi livelli di produzione da parte delle fonti rinnovabili.
Va fatta però, a mio parere, anche una riflessione sul nucleare, per il quale i cittadini sono stati chiamati a dichiararsi in due distinti referendum. Il primo fu chiaramente influenzato dal disastro di Chernobyl, e dunque i cittadini espressero la propria assoluta contrarietà alla costruzione di centrali nucleari in Italia. Il secondo si tenne un decennio fa e oltre a una schiacciante presa di posizione dei cittadini sulla necessità di abrogare le norme che prevedevano la costruzione di centrali nucleari in Italia, si pensò che, finalmente, l’Italia fosse stata messa di fronte alla necessità dell’introduzione di fonti di energia rinnovabile, definita come energia del futuro. Ma non va comunque dimenticato come sia sul confine occidentale come su quello orientale del nostro Paese vi sono, a qualche centinaio di chilometri dal confine, centrali nucleari in funzione se non addirittura in fase di sviluppo.
Da triestina vorrei ricordare l’Oleodotto Transalpino, una realtà che collega Trieste e il suo porto con l’Europa centrale, coprendo il 40% delle necessità tedesche (tra cui il 100% delle necessità della Baviera e del Baden-Wuerttenberg il 90% di quello dell’Austria e il 30% di quello della Cechia). Dal territorio giungono richieste di migliorie da apportare nei depositi della SIOT di Trieste e soprattutto per quanto riguarda l’esalazione di odori assai sgradevoli che vengono emanati dai depositi e di cui la popolazione lamenta il disagio.
Ma il punto è ovviamente altro. Un’opera di tali dimensioni, solo per il Friuli Venezia Giulia a fronte di un fatturato di 84,5 milioni di euro, nel 2018 ha creato un impatto economico complessivo a vantaggio del territorio stimato tra 246,9 e 282,3 milioni di euro. E’ già è stato annunciato che entro 10 anni a Trieste si sbarcheranno 20 milioni di tonnellate in meno di greggio. Sono dati che impongono una riflessione molto seria: la conversione ecologica, infatti, potrà svilupparsi soltanto in un arco di tempo molto esteso e con delle alternative che determineranno scelte rilevanti non soltanto per l’Italia.
L’implicazione di una compagine internazionale apre dal territorio lo scenario alle dinamiche politiche europee e internazionali. Il quadro europeo viene sicuramente garantito dal fatto che tutti i Paesi toccati dall’Oleodotto facciano parte dell’EU. L’intenzione di allargare le forniture anche alla Slovacchia apre un discorso ampio sulle varianti di sviluppo ma anche sulla stabilità politica dell’entità europea e le sue possibili varianti in futuro, visti i venti di crisi che coinvolgono in questo periodo vari Stati dell’Est europeo.
La questione dell’energia, oggi in modo particolare, dunque coinvolge in maniera importante anche la politica estera del nostro Paese, che deve cercare di capire quanto le mutazioni del quadro internazionale influiranno sull’approvvigionamento di fonti di energia diverse, come il gas, che è senz’altro una fonte di energia fossile ma di cui si discute come possa accompagnare per almeno qualche decennio la transizione ecologica, posto che bruciando gas si produce CO2, quindi può essere usato solo in una fase temporanea come riduzione del danno.
Su questo fronte è attualissimo il rafforzato protagonismo della Russia, che ha sempre utilizzato le forniture di gas come strumento di politica estera e di esercizio di influenza (Gazprom ha notificato alla Moldavia la possibile cessazione delle forniture di gas in 48 ore a causa della mancanza di pagamento). La conferma ottenuta ieri dal premier Draghi che la Russia continuerà a garantire forniture ininterrotte di gas naturale all’Europa a lungo termine ovviamente viene incontro a esigenze oggettive. Ma non sfugge che questa assicurazione si accompagna ad altri elementi di criticità. Da un lato infatti la fornitura viene associata all’utilizzo delle capacità del gasdotto Nord Stream 2, con l’esplicito tentativo di insinuare un cuneo tra Ue e Usa: l’amministrazione Biden continua infatti a opporsi all’oleodotto, e proprio oggi sono state imposte nuove sanzioni. Dall’altro lato, la questione energetica si è incrociata con quella della crisi tra Polonia e Bielorussia, e sullo sfondo (ma solo per un problema di nostra capacità di visione prospettica) si staglia il rapporto Russia-Cina, laddove la società energetica russa Gazprom ha reso noto lo scorso primo settembre che le forniture di gas russo verso la Cina, attraverso il gasdotto Power of Siberia, hanno superato il record assoluto.
Ma non c’è solo il gas russo.
In questo contesto, ed è stato una parte del lavoro in Commissione Esteri, risulta strategico per l’Italia il Gas Forum del Mediterraneo orientale non solo come elemento di stabilizzazione della regione, ma anche in relazione agli obiettivi di diversificazione delle fonti di approvvigionamento, di ottimizzazione delle infrastrutture esistenti e di sviluppo del mercato del GNL, in particolare per la decarbonizzazione dei trasporti pesanti e marittimi.
Qui entra in scena un’altra media potenza che da un lato sta facendo valere le sue ambizioni espansionistiche e dall’altro comincia a fare i conti con i problemi di una crescente crisi economica che ne mina le basi: la Turchia. La scoperta di vasti giacimenti di gas nella zona di mare compresa tra Cipro, Egitto e Israele rappresenta un’opportunità economica e politica per lo sviluppo e la cooperazione tra questi paesi e gli stati dell’Unione europea (UE), con un interesse particolare da parte dell’Italia. Questa scoperta ha creato opportunità ma anche situazioni delicate con l’aumento della tensione da parte turca. In una simile situazione l’Italia deve tener conto di tutte le variabili, dall’importanza dell’estrazione del gas naturale nel Mar di Levante all’interesse nella prosecuzione dell’estrazione petrolifera con gli impianti già presenti in Libia, in aree in cui l’influenza turca è ormai forte, talvolta a scapito proprio degli interessi italiani. A ciò va aggiunto che Ankara, che ora gestisce “congiuntamente” a Tripoli le operazioni delle motovedette libiche, ha in mano i rubinetti dei flussi dell’immigrazione clandestina anche via mare oltre che dalla rotta balcanica. Torna il legame energia-migranti: Ankara e Tripoli hanno firmato infatti un accordo esclusivo per il controllo delle coste della Tripolitania, per la difesa reciproca e per lo sfruttamento di gas e petrolio nel Mediterraneo centrale. Siamo di fronte a un caso esemplare di come l’intreccio tra oil&gas, fenomeno delle migrazioni e politica estera chieda prese di posizione chiare, coerenti e conseguenti. ìSotto il profilo geopolitico è indispensabile avere chiaro che sulle acque dell’Egeo si sta giocando una partita e i cui esiti avranno importanti implicazioni sulla nostra politica energetica, sull’affermazione del diritto internazionale marittimo e a cascata su tutti gli equilibri del Mediterraneo.
Un fattore di chiarezza credo possa essere considerato il lavoro della Commissione Esteri del Senato, che è stata chiamata ad esaminare il disegno di legge recante la ratifica dello Statuto dell’East Mediterranean Gas Forum (EMGF) che è volto a dare una veste strutturata e formale al Forum del gas del Mediterraneo orientale (EMGF nell’acronimo inglese), organismo che, annunciato per la prima volta nell’ottobre 2018 e costituito nel gennaio 2019 su iniziativa di Italia, Egitto, Giordania, Israele, Cipro, Grecia e Autorità Nazionale Palestinese, si configura oggi come una organizzazione internazionale a carattere intergovernativo, preposta alla creazione di un coordinamento stabile fra alcuni Stati del Mediterraneo orientale produttori, di transito e consumatori di gas naturale, con l’intento di facilitare la creazione in questa area geografica di assoluto rilievo strategico di un mercato regionale del gas.
La Commissione europea ha ritenuto l’istituzione del Forum del tutto compatibile con la normativa europea. Il nostro Paese ha salutato con favore questa iniziativa, stante il suo rilievo strategico per i potenziali effetti stabilizzatori a livello regionale e per la tutela degli interessi industriali italiani nell’area mediterranea, in linea con gli obiettivi di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico e di graduale decarbonizzazione che l’Italia persegue da tempo.
E’ importante, in conclusione, ribadire come la questione dell’energia non rappresenti soltanto una necessità di carattere economico e industriale del Paese, ma rappresenti uno dei punti di forza per la stabilità delle singole aree coinvolte, tra le quali il Mediterraneo orientale, l’Europa dell’Est ma anche Paesi più lontani che esercitano nei nostri confronti quello che, sia pur definito soft power, non è tuttavia meno insidioso e penetrante.