Ucraina: difendere la forza del diritto
SERRACCHIANI INTERVIENE IN AULA SULL’INFORMATIVA DEL PREMIER DRAGHI
Signor Presidente,
Signor Presidente del Consiglio,
Colleghe e colleghi,
dal 24 febbraio sono trascorsi 85 giorni.
Da quell’alba tragica in cui, con un discorso che è un capolavoro di menzogne, un formidabile esercizio di realtà capovolta, il capo di una superpotenza nucleare ordina ai suoi carri armati di invadere un Paese sovrano, il popolo ucraino resiste e combatte per difendere la propria libertà.
E la nostra libertà.
Difendere la forza del diritto.
Contro il diritto della forza.
Contro chi vuole riaprire la porta al peggiore Novecento.
Quello dei massacri sul suolo europeo.
I quotidiani del 25 febbraio avevano in prima pagina una foto scioccante.
E’ il volto bendato e insanguinato di Olena Kourilo, un’insegnante di 52 anni. I missili russi le hanno distrutto la casa in un villaggio non lontano da Kiev. La disperata incredulità del suo sguardo racconta tutto. Nello spazio di poche ore la sua vita è stata stravolta.
Così come è stata stravolta la Storia.
Sarebbe stata quella foto, ahimè, solo la prima di una serie infinita di scatti e immagini che ci hanno mostrato la tragedia scatenata da Putin e l’indicibile sofferenza imposta a milioni di donne, bambini, anziani, giovani.
Voglio rivolgere un sincero ringraziamento ai giornalisti, agli inviati che stanno documentando a rischio della vita – come purtroppo è accaduto – quanto avviene in quelle città e aree martoriate.
Grazie dal profondo del cuore. Il loro lavoro, coraggioso e infaticabile, è prezioso, unico. E ci aiuta nella comprensione della verità.
E, da italiana, colgo l’occasione per ringraziare un nostro straordinario concittadino.
L’ambasciatore Pier Francesco Zazo. Ultimo diplomatico a chiudere la sede a Kiev e trai i primi a riaprirla. Si è speso per la sicurezza dei nostri connazionali e per aiutare quanti, anche non italiani, si sono rivolti all’ambasciata.
A lui ed a tutto il personale dell’ambasciata la nostra gratitudine.
Signor Presidente, il primo marzo in quest’aula lei disse che l’Italia non si sarebbe voltata dall’altra parte ricevendo dal Parlamento, pressoché unanime, questo preciso indirizzo.
Oggi mi sento di dire che il governo sta adempiendo a questo mandato.
La nostra vicinanza all’Ucraina negli aiuti umanitari, nell’accoglienza degli oltre centomila profughi giunti qui e nell’aiuto alla resistenza attraverso l’invio di equipaggiamenti militari e armi ha contribuito, nel quadro delle decisioni assunte dall’Ue e dai partner occidentali, a vanificare il disegno imperialista di Putin.
Voleva cancellare l’Ucraina dalle cartine geografiche, con farneticanti motivazioni del tipo “invadiamo per difenderci”.
E affermare che nelle relazioni internazionali non contano regole, trattati e leggi ma i carri armati. Meno che mai le istituzioni multilaterali come mostra, plasticamente, la cinica decisione di umiliare l’Onu bombardando Kiev proprio nelle ore in cui il segretario generale Gutierrez incontrava il presidente Zelensky.
Sulla resistenza ucraina, si sta infrangendo il sogno neozarista del capo del Cremlino.
Ma la guerra non è ancora finita.
Ancora si muore in Ucraina e, a causa del blocco russo dei porti ucraini che impedisce l’esportazione del grano, la fame potrebbe mietere a breve centinaia di migliaia di vittime nei paesi africani, asiatici e del medio oriente che dipendono – in decine di casi anche oltre il 50% – dai rifornimenti di Kiev.
La sua relazione, signor Presidente, è da noi pienamente condivisa.
Lo voglio ribadire. Non c’è stata nessuna ebrezza bellicista.
Non ci sono guerrafondai in quest’aula.
La guerra è una malattia mortale dell’umanità.
Sin dall’inizio, sin dal 25 febbraio abbiamo motivato le nostre decisioni con l’obiettivo di porre fine alla voce delle armi.
Di costruire la pace. È nostro dovere politico e morale.
Ma questo non poteva significare, e non ha significato, equidistanza.
Ci sono un aggredito ed un aggressore. E chi ama la pace non poteva lasciare inascoltato l’appello degli ucraini alla difesa dall’aggressione russa. Combattono per la loro libertà e occorre aiutarli, anche militarmente.
La pace, infatti, non è la capitolazione di fronte all’aggressore.
Tutti insieme abbiamo sostenuto questa decisione il primo marzo ed è importante che responsabilmente questa unità di intenti continui.
In gioco c’è la credibilità e la sicurezza del nostro Paese.
Noi democratici crediamo che si debba essere orgogliosi della risposta italiana all’aggressione di Putin.
Tutto ciò che stiamo facendo, accanto al popolo ucraino, a quel popolo che – come ci ha detto il suo presidente Zelensky in quest’aula il 22 marzo scorso – si è dovuto fare esercito per difendersi dall’aggressione russa, ha questa unica finalità: giungere alla pace.
L’Italia ha dato prova di essere un grande Paese europeista che ha fatto la propria parte con coraggio e con determinazione, guadagnandosi, anche in questo caso, il rispetto della comunità internazionale e dell’Unione europea e difendendo anche in questo modo l’interesse nazionale italiano.
Ma, dicevo, la guerra non è ancora finita.
Una grande preoccupazione che dobbiamo avere in questo momento è che ci si abitui alla guerra. Non dobbiamo abituarci al fatto che con la violenza e con la sopraffazione si regolino i confini internazionali.
Pace vera vuol dire essere in grado oggi di spingere perché arrivi nelle condizioni in cui questo sia realizzabile e sarà l’Ucraina e non altri a decidere quale pace possibile.
Noi pensiamo, a differenza di altri, che se oggi ci sono le condizioni per avviare un percorso di pace è grazie alle scelte che abbiamo fatto negli ultimi tre mesi. Scelte difficili, forti. Anche sofferte.
Scelte che hanno consentito anche a lei, presidente, negli ultimi incontri internazionali – penso all’ultimo con il presidente Biden – di mettere l’accento sul fatto che proprio in nome della solidità dell’alleanza euroatlantica è giusto favorire un maggiore protagonismo dell’Europa, una grande determinazione a evitare incontrollabili escalation del conflitto, un convinto sforzo di far partire finalmente il tavolo del negoziato.
Credo che debba fare da bussola, a tutti i protagonisti, il monito di Robert Schuman ricordato dal presidente Mattarella nel recente intervento all’assemblea del Consiglio d’Europa: <La pace non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano>.
Ed è nello stesso discorso che il nostro Presidente dà una chiara indicazione della rotta di costruzione della pace: <penso a Helsinki e non a Jalta, dialogo non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali>.
E credo anche che in questa fase tanto delicata, drammatica ma anche importante per quello che sarà domani, per ciò che sarà il nostro continente, e non solo, dopo la guerra, occorra una chiara leadership europea.
E veniamo all’Europa.
Dallo scoppio della guerra, l’Unione ha saputo rispondere con unità, con determinazione, con rapidità. L’Europa di oggi non è più quella dell’austerity, delle regole di bilancio prima di tutto. Invio delle armi, accoglienza, intese per ridurre la dipendenza energetica, sanzioni: la risposta è arrivata immediata.
Di queste ore il piano RepowerUe, il programma con il quale la Commissione indica la strada per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili russi entro il 2027 con una mobilitazione di 300 miliardi. E poi i passi verso una politica di difesa e sicurezza comune.
Un altro fallimento del calcolo di Putin. Contava di dividere l’Unione, ha ottenuto l’opposto e la disintegrazione del gruppo di Visegrad, il più sensibile – fino a ieri – alle sirene nazionaliste portate dal vento dell’est.
Come pure, grazie alla guerra scatenata con lo scopo di tenere lontana la Nato dai suoi confini, è riuscito a creare le condizioni perché Finlandia e Svezia superassero la storica neutralità chiedendo di aderire all’alleanza atlantica. E noi diamo loro il più caldo benvenuto.
Ma proprio le difficoltà di questi giorni sul sesto pacchetto di sanzioni, con la contrarietà dell’Ungheria di Orban all’introduzione dell’embargo sul petrolio russo, sta mostrando i limiti dell’architettura dell’Unione.
La sua fragilità.
Noi Democratici pensiamo che questo sia il momento per far fare all’Europa un salto di qualità.
La modifica dei Trattati non può essere un tabù.
L’Europa si costruisce con le sue crisi, ammoniva Jean Monnet.
L’Europa va cambiata e resa all’altezza della sua missione. Soprattutto va liberata dal cappio del diritto di veto che ne impedisce l’evoluzione.
Va in questa direzione anche la proposta lanciata dal nostro segretario di una Confederazione che unisca ai 27 paesi membri quegli Stati candidati all’ingresso corrispondendo, così, in maniera più rapida, al desiderio dell’Ucraina di aderire alla famiglia europea.
Questo è il momento di recuperare lo “spirito pioneristico” dei padri fondatori avendo ben presente che in 65 anni il mondo è profondamente mutato. In questo progetto di sviluppo dello spirito di Ventotene dobbiamo mettere <cuore e ambizione> come ha fatto, e come ci spingeva a fare, David Sassoli che – ne sono certa – dovremo annoverare fra i padri fondatori della nuova Europa.
Signor Presidente,
le conseguenze della guerra hanno ingigantito le difficoltà per l’economia internazionale e quindi anche per noi determinate dal caro bollette, dall’aumento del prezzo delle materie prime e dall’inflazione.
Con il decreto approvato lunedì 2 maggio si è andati nella direzione di aiutare lavoratori, pensionati e aziende ad affrontare questa crisi che, purtroppo, ha già determinato un calo nella crescita economica prevista per quest’anno.
Occorre prestare la massima attenzione per evitare che sul Paese si abbatta una nuova recessione annullando i positivi effetti ottenuti con la ripresa dell’anno scorso.
Tassando gli extraprofitti di pochi si è intervenuti su 31 milioni di persone: oltre metà degli italiani così potrà ricevere 200 euro nella busta paga e nel cedolino della pensione.
Un intervento di redistribuzione fiscale che avevamo immediatamente sollecitato: redistribuzione, aiuto alle fasce più deboli, intervento su affitti e trasporto pubblico locale.
E’ la strada giusta su cui, siamo certi, il governo continuerà a muoversi per difendere il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni, le attività dei lavoratori autonomi e delle imprese.
Vada avanti Presidente!