L’intervista a Massimo Moretuzzo
“BASTA CAMPANILISMI, UNENDO LE FORZE LA VITTORIA E’ POSSIBILE”
«Vinceremo noi, perché sapremo mobilitare le energie migliori della società regionale». Massimo Moretuzzo incassa la convergenza del Pd, del M5s e delle forze di centrosinistra sulla sua candidatura a presidente della Regione. L’autonomista friulano sta metabolizzando una chiamata imprevedibile fino a pochi mesi fa e non si dà battuto in partenza, convinto che i sondaggi che favoriscono Fedriga si ribalteranno grazie a «una proposta basata sulla cura», capace di indicare nuovi modelli sostenibili di sviluppo e mettere al centro l’asse fra Trieste e il resto del Friuli Venezia Giulia
A Trieste e Gorizia la conosciamo poco. Chi è Massimo Moretuzzo?
«Uno che arriva dal basso. Sono laureato in Scienze dell’educazione, fino a trent’anni mi sono impegnato nel mondo del volontariato e della cooperazione internazionale. Poi sono entrato nell’azienda appena fondata da mio padre: da 8 dipendenti siamo arrivati a 25. Sono stato sindaco di Mereto di Tomba, nel 2018 mi sono candidato in Regione dopo aver dato vita al Patto per l’autonomia con altri sindaci scapestrati come me».
Civico? Autonomista? Come bisogna definirla?
«Civico, che ritiene l’autonomia uno strumento straordinario per costruire una regione migliore, più europea e sostenibile sul piano economico, sociale e ambientale».
Liberale? Ecologista? Di sinistra? Di centro?
«Ecologista, ma non mi riconosco in nessuna delle categorie del Novecento. Non sono più sufficienti per interpretare la realtà».
Perché lei? I partiti nazionali hanno abdicato al ruolo di guida?
«Le forze alternative al centrodestra hanno individuato un profilo civico, perché permette di parlare alle cittadine e ai cittadini in modo più inclusivo e fuori dagli schemi».
Che Friuli Venezia Giulia ha in testa?
«Un Fvg in cui la specialità regionale è strumento per fare prima e meglio dello Stato in un momento storico difficile. Una regione in cui le diversità sono un valore e dove ci si prende cura della nostra terra e delle generazioni che verranno dopo di noi. Non padroni, ma madri e padri a casa nostra».
Le linee del programma?
«La prima è la sanità, che ha tenuto grazie a professionisti che hanno saputo resistere nonostante errori decennali. Bisogna affrontare liste d’attesa, personale carente, emergenza e servizi territoriali. Gli enti locali: i Comuni hanno 700 milioni fermi perché non c’è il personale tecnico per spenderli e in 5 anni non si è fatto nulla. Ricostruire le Province non serve. Poi la transizione ecologica: servono un piano di adattamento ai cambiamenti climatici e un cambio del modello di sviluppo, ma la giunta Fedriga stanzia 60 milioni per impianti di sci a bassa quota. Da imprenditore dico che oggi le risorse a disposizione sono molte, ma questa amministrazione ha preferito i bonus a una visione del futuro. Serve infine una regione europea: abbiamo subito i confini del ’900 e la destra sovranista riporta indietro le lancette della storia, mentre noi vogliamo un’Europa forte. Lavoro nell’edilizia, ma sono per abbattere muri, non costruirli».
Come si gestisce la rotta balcanica dei migranti?
«In 5 anni di slogan il centrodestra non ha cambiato nulla. Fingere che questo problema globale non esista o gridare allo straniero non aiuta. La caserma Cavarzerani e il Cara di Gradisca sono stracolmi e persone dormono in strada a Trieste e Gorizia. Inaccettabile».
Fra Pd e M5s sono volate parole grosse fino a pochi giorni fa. Ora tutti amici?
«I rapporti tra forze politiche risentono delle tensioni romane, ma sul territorio e in Consiglio regionale il rapporto è sempre stato positivo. Un ostacolo è stato rappresentato dal Terzo polo, che si è chiamato fuori decidendo di fatto di dare un appoggio esterno alla giunta Fedriga».
Ha solo due mesi e mezzo per farsi conoscere…
«Più di quello che hanno i candidati in Lombardia e Lazio. La sfida è difficile ma sono certo che sapremo suscitare entusiasmo e mobilitazione».
Fedriga è dato vincente anche da voi: non è deprimente correre per perdere bene?
«Siamo in campo per vincere. I sondaggi lasciano il tempo che trovano. Questa coalizione è un buon punto di partenza, ma la coalizione vincente è quella che faremo con le cittadine e i cittadini del Fvg, con le forze economiche e sociali del nostro territorio».
In aula interviene in friulano. Che idee ha per la vocazione dei diversi territori?
«Lo faccio talvolta, perché la diversità linguistica del nostro territorio è un valore straordinario e anche la presenza slovena rende unico il nostro Consiglio regionale in Europa. Abbiamo città come Trieste che vivono un momento importante legato alla portualità e territori come la montagna in crisi economica e demografica. Ogni territorio deve trovare la sua vocazione».
Il Patto 5 anni fa candidò Sergio Cecotti. Vi darà una mano anche stavolta?
«Cecotti è in Cina, impegnato in progetti di ricerca. Rimane una figura importante, che mi ha insegnato molto e ha avuto straordinarie intuizioni».
Cecotti nel 2003 appoggiò Illy contro la leghista Guerra. Cos’è cambiato in 20 anni?
«In quell’accordo ci fu la capacità di costruire un rapporto forte tra il Friuli e Trieste. Un patto che ha saputo disegnare una visione innovativa del futuro per la regione. Quella capacità oggi è venuta meno. Con la mia candidatura e la nostra coalizione questo rapporto si può ricostruire, creando nuova collaborazione fra le classi dirigenti di Trieste e del resto della regione. Consegniamo al passato i campanili Trieste-Friuli».
Attorno al Patto gravitano movimenti civici di sinistra come Adesso Trieste. Che ruolo avranno?
«Ho grande stima di quanto i giovani di At hanno fatto in questi anni, sapendo rimanere fermi su tutela ambientale, mobilità e riduzione delle diseguaglianze, ma utilizzando linguaggi laici e capaci di coinvolgere tante persone. Un percorso “con” e non solo “per” i cittadini: questo approccio sarà uno dei punti fermi della nostra campagna elettorale».
Intervista rilasciata a Diego D’Amelio per Il Piccolo del 14 gennaio 2023.