Porzus: con guerra Ucraina fatto balzo nel tempo
SERRACCHIANI A BOSCO ROMAGNO COMMEMORA I CADUTI DELLA “BRIGATA OSOPPO”
Signor Sindaco,
Signor presidente dell’Associazione Partigiani Osoppo,
Autorità e cittadini,
mi sia permesso esprimere da principio i sentimenti di rispetto e riconoscenza che nutro per la costante opera di memoria, affermazione di verità e ricerca di giustizia, che anche in tempi più difficili è stata condotta dall’Associazione Partigiani “Osoppo-Friuli”.
Vorrei trasmettervi il senso della mia profonda partecipazione a questo momento.
Nel raccoglierci accanto al cippo che ricorda i i tredici partigiani osovani prelevati alle malghe di Porzus e poi trucidati nel Bosco Romagno alle porte della città ducale, sembra ravvivarsi il grumo di dolore che giace silenzioso nelle profondità della storia della nostra terra.
Ho visitato e sono tornata su molti dei luoghi che questa terra segnano come cicatrici, dopo aver cercato spesso le parole per descrivere la desolazione della morte passata e l’imperioso dovere di lavorare e costruire nel presente.
Negli anni, mi sono convinta che l’umana compassione, la pietà autentica per il male compiuto e subìto, il ritrovare se stessi nell’altro, siano la via obbligata per fermare il rimpallo dei torti e delle ragioni. Questo è “un dolore che non può, non deve trasformarsi nella coltivazione dell’odio”, disse Carlo Smuraglia.
Sia chiaro, ciò non significa mettere tutto sullo stesso piano, in un vago e generico giustificazionismo, bensì compiere un atto morale della volontà, come fu lo storico abbraccio pacificatore tra don Bello e Vanni Padoan.
Perché le macchie vi furono, sono note, riconosciute e non vanno cancellate. E la coscienza di un popolo così come quella delle singole comunità, non può dimenticare i suoi caduti, tutti, né trascurare alcuna delle durissime tappe che l’intero nostro Paese ha dovuto superare per conquistarsi la democrazia.
Ritroviamo la vividezza di quei momenti tragici, la sospensione tra l’urlo di dolore e il silenzio della dignità, tornando a leggere il pensiero di Pier Paolo Pasolini dedicato al fratello ucciso qui:
«Quanto sia il dolore di mia madre, mio, e di tutti questi fratelli e madri e parenti non mi sento ora di esprimere. Certo è una realtà troppo grande, questa di saperli morti, per essere contenuta nei nostri cuori di uomini. (…) Io per mio fratello posso dire che è stata la sorte del suo corpo entusiasta che l’ha ucciso e che egli non poteva sopravvivere al suo entusiasmo. Ora, gli ideali per cui è morto, il suo dolcissimo tricolore, se lo hanno rapito in un silenzio che non è ormai più nostro. E con lui tutti i suoi eroici compagni. E solo noi, loro parenti, possiamo piangerli pur non negando che ne siamo orgogliosi, pur restando convinti che senza il loro martirio non si sarebbe trovata la forza sufficiente a reagire contro la bassezza, e la crudeltà e l’egoismo, in nome di quegli ideali per cui essi sono morti. (…) Ma noi alla società non chiediamo lacrime, chiediamo giustizia».
In poche frasi, nell’imediatezza del lutto, il Maestro ha raccolto il senso del nostro annuale radunarci in questo luogo: la sofferenza famigliare che non conosce consolazione né riscatto, il cordoglio pubblico che diventa patrimonio collettivo, la solidarietà fino alla morte tra i combattenti, gli ideali e i valori inscalfibili che sono ancora i nostri.
Ecco. E’ giusto ribadire che gli osovani, nell’ambito dell’ampio movimento resistenziale, hanno svolto un ruolo fondamentale per garantire la libertà, la democrazia e, per quanto concesso a un Paese sconfitto in guerra, l’integrità territoriale dell’Italia. E l’hanno fatto versando un alto tributo di sangue.
Ma perché le parole di Pasolini ci colpiscono così duramente? Mai come oggi ci sembra attuale, urgente e doveroso, rievocare la Resistenza in armi contro l’invasore nazifascista e il “no” all’annessione del Friuli sotto un totalitarismo di altro colore. Mai come oggi ci sembrano vicini i valori di chi ha combattuto per la libertà e ci ha donato la democrazia.
La guerra d’aggressione decisa a freddo e scatenata senza freno alcuno contro la popolazione inerme dell’Ucraina ci ha fatto fare un balzo nel tempo, in un’epoca che pensavamo definitivamente tramontata. Sono tra noi le madri e le sorelle dei giovani che stanno combattendo e morendo per l’esistenza della loro Patria. A quasi 80 anni di distanza dalla Seconda Guerra mondiale e dai fatti di Porzus, in Europa gli eserciti si scontrano ancora, perché un dittatore vuole imporre con la forza delle armi il suo dominio su una nazione indipendente.
A lungo ci siamo ripetuti quale sia il valore della memoria per la coscienza civile di un popolo, come sia sempre a rischio di oblio e come sia nostro dovere tenerla viva in noi per trasmetterla alle generazioni che verranno. All’improvviso abbiamo dovuto scoprire che la memoria era diventata cronaca, che l’incredibile era diventato possibile.
Per questo, perché i nostri padri sono passati attraverso la strada stretta e durissima della guerra, dell’occupazione, dei rastrellamenti e della Resistenza, non c’è spazio per gli equivoci. Inseguiremo la pace con tutte le forze ma, come gli Alleati ci sostennero nella lotta partigiana ora tocca a noi, all’Europa per prima, aiutare una giovane democrazia che si oppone a forze soverchianti.
Lo facciamo senza odio verso alcuno, con grande attenzione alle conseguenze sociali ed economiche, con la consapevolezza che un’altra condotta sarebbe foriera di effetti più pericolosi.
Solo pochi mesi fa ci stringevamo le mani a Basovizza e a Gorizia con il presidente Mattarella e il presidente Pahor, quasi a sigillare l’apertura di una nuova epoca su questo difficile confine orientale, simbolico delle contraddizioni e delle divisioni che hanno inciso l’Europa, e che proprio grazie all’Europa è diventato luogo di pace e collaborazione.
Avrei voluto ricordare in diverse circostanze e con diverso animo le parole di Piergiorgio Bressani: «L’esperienza sofferta ci ha immunizzato dal morbo di una politica di potenza. La tradizione di civiltà e di cultura ci sollecita all’amicizia con gli altri popoli. Il nostro amor di Patria non è nazionalismo, il nostro sentimento nazionale non è volontà di prevaricare altre nazioni». La loro attualità per noi non è in discussione, ma ci confrontiamo con una realtà che vuole smentirle.
Dobbiamo darci e dare coraggio in questa prova ardua, che richiede innanzitutto unità, convinta adesione ai princìpi su cui è sorta la Repubblica, solidarietà della comunità nazionale verso chi è più in difficoltà.
I caduti di Bosco Romagno, tutti i caduti nel nome della libertà, siano di esempio e monito.
Viva la Brigata Osoppo!
Viva l’Europa!
Viva l’Italia!