10 Ottobre 2023

Pd Fvg: relazione d’apertura di Caterina Conti

L’ANALISI POLITICA, I PROPOSITI E I CARDINI DELLA SEGRETARIA REGIONALE. IL TESTO INTEGRALE

Assemblea regionale del Partito democratico del Friuli Venezia Giulia

Relazione della segretaria Caterina Conti

Staranzano, 6 ottobre 2023

Care democratiche e cari democratici,

Grazie di essere qui e di questo giorno.

Saluto gli esponenti degli altri partiti e li ringrazio di aver raccolto il nostro invito.

Il primo ringraziamento va poi al nuovo Presidente dell’Assemblea, Franco Lenarduzzi, per il congresso che abbiamo fatto insieme e per il lavoro costruttivo che faremo nel prossimo lungo periodo. Ha assunto un ruolo di garanzia per tutto il partito.

Il secondo ringraziamento va alla Commissione congressuale, al Presidente Salvatore Spitaleri e a tutta la Commissione che ha lavorato negli ultimi mesi con serietà, con continuità e soprattutto che ha garantito il regolare svolgimento di un esercizio di democrazia interna che non ha eguali nel panorama politico nazionale.

Non posso non menzionare, ringraziandoli, Renzo Liva e Cristiano Shaurli, oltrea Tamara Blazina, che hanno guidato il partito al meglio di quanto hanno potuto, nelle circostanze complesse e faticose, ingrate, in cui si sono trovato.

E i nuovi segretari delle Federazioni provinciali: Luca Braidotti, Maria Luisa Paglia, Fausto Tomasello e Sara Vito, insieme a tutti i segretari dei Circoli. Grazie per il servizio che svolgerete e grazie di esservi messi a disposizione di questa nostra comunità.

Così come saluto e ringrazio le parlamentari e i Consiglieri regionali, insieme al capogruppo Diego Moretti.

L’ultimo ringraziamento, ma non in ordine di importanza, va rivolto a voi, a tutti gli iscritti e iscritte del Partito Democratico della nostra regione per la partecipazione, il confronto, l’ascolto, la voglia di riscatto che ha animato il congresso.

Oggi è un nuovo inizio. Ed è una festa per la nostra comunità politica: è la festa del nostro nuovo impegno con il Friuli Venezia Giulia.

A noi tutti, come comunità politica del principale partito di opposizione in Friuli Venezia Giulia, è richiesto di essere e rappresentare l’alternativa politica e culturale alla destra di Fedriga. È nostro compito costruire un progetto collettivo che guardi allo sviluppo della nostra regione in ottica nazionale ed europea, tenendo saldi i valori nei quali ci riconosciamo: libertà, giustizia sociale, inclusione e dignità dell’essere umano.

Le sconfitte da cui proveniamo ci insegnano che solo su un progetto largo, condiviso, partecipato, costruito per tempo, un progetto ambizioso e inclusivo, un progetto culturale che ci faccia superare l’egoismo e la miopia della narrazione ideologica della destra, saremo utili ai cittadini e alla società.

E questo progetto deve tenere conto del contesto internazionale, europeo e italiano nel quale ci collochiamo.

Se dovessimo fare una fotografia oggi del mondo, potremmo dire che viviamo in una condizione di ansia e confusione: di fronte a noi si svolgono cambiamenti epocali, spesso forieri di grandi preoccupazioni e pericoli. Il cambiamento climatico, innanzitutto, una trasformazione profonda del nostro ambiente che rischia di lasciare un mondo peggiore alle future generazioni. Se non mettiamo ora mano a questa situazione rischiamo di non poterlo fare più. Già oggi interi popoli subiscono carestie, disastri naturali, siccità e si mettono disperatamente in movimento per cercare di sopravvivere. Una delle cause principali delle immigrazioni nel mondo sta proprio qui.

Anche nel nostro Paese la frequenza dei disastri di natura climatica è impressionante ed è resa più drammatica dall’incuria del nostro patrimonio infrastrutturale e dalla cattiva gestione del nostro territorio. Davanti a tutto la destra non fa altro che negare, nell’illusione che si possa continuare all’infinito a mettere la testa sotto la sabbia e continuare nello sfruttamento in nome del profitto.

Un’ulteriore fonte di allarme è dovuta alla sempre maggiore diffusione di regimi autoritari e conflitti. Oggi i Paesi del mondo governati da democrazie piene sono o imperfette sono 72, mentre i regimi autoritari e le dittature sono 95 e governano sul 55% della popolazione mondiale.

Anche in Occidente si fa strada il pensiero che la democrazia, il suo sistema di libertà non sia in credo di fronteggiare le grandi trasformazioni e molti si rifugiano nell’idea che un “uomo forte”, un regime autoritario, sia più efficiente e più capace di affrontare le paure delle persone. Non è così, ma non basta dirlo astrattamente: la chiave è coniugare il valore della libertà con quello della solidarietà e dell’eguaglianza.

Non c’è libertà senza risolvere il tema delle grandi diseguaglianze e sconfiggere le molte povertà.

Ancora, le crisi economiche e finanziarie ci mostrano come un mondo interdipendente non posso essere governato attraverso una sommatoria di piccoli interessi particolari, ma vi è l’assoluta necessità che le grandi questioni aperte trovino soluzioni globali attraverso la collaborazione internazionale.

Si tratta di combattere ancora una volta i nazionalismi, gli integralismi e le dittature, proprio perché il progresso della civiltà passa attraverso la crescita sociale, delle libertà e della pace.

Anche perché la povertà, la fame, la denutrizione, la mancanza di scolarizzazione, la schiavitù sono ancora fenomeni molto presenti nel mondo, anche in Europa. Qui, in Europa, dove il prossimo anno si gioca una partita decisiva.

Le Elezioni europee del 2024 saranno una battaglia fondamentale: sia nella consapevolezza dello scontro politico culturale che è in atto tra Progressisti e Conservatori sull’idea di Europa, sia perché nella nostra regione si intrecciano tante dimensioni di questo confronto.

L’Europa dei sovranismi, dei populismi, degli antagonismi tra Stati che viene propugnata dalla destra è la morte dell’Europa così come la conosciamo oggi, e così come tanti ragazzi e ragazze nati dopo il 1989 (e sono tanti!) l’hanno vista.

L’Europa che proponiamo è un’Europa federale, aperta al resto del mondo, che promuove la redistribuzione della ricchezza, i diritti sociali, politici e civili, la tutela dell’ambiente e la transizione ecologica, la pace e la collaborazione internazionale.

Ecco perché per queste elezioni dovremo mobilitarci per proporre le nostre idee anche con candidature in grado di rappresentare al meglio la nostra Regione.

La nostra idea di Europa, dobbiamo dirlo con chiarezza, non ha niente a che fare con l’’Europa dei nazionalismi, preoccupati solo di tutelare solo i propri interessi: così non si va da nessuna parte in un mondo globalizzato e interdipendente sul piano economico e politico.

Il problema è come trasformare una “realtà in decadenza” (così l’ha definita Romano Prodi) e farla diventare un soggetto attivo, protagonista sulla scena internazionale. Dobbiamo avere idee e propositi chiari.

“Non possiamo più affidarci agli Stati Uniti per la sicurezza, alla Russia per l’energia e alla Cina per le esportazioni”, ha detto Mario Draghi qualche settimana fa. Bisogna avere il coraggio di dare poteri effettivi all’Unione Europea, e tanto più bisogna rafforzarla perché nuove potenze emergenti stanno cercando alleanze e intese per avere un ruolo nell’economia globale.

È significativo che i paesi BRICS abbiano sentito l’esigenza di incontrarsi, per definire forme di collaborazioni più strette, persino la creazione di un’improbabibile bit-coin per la loro area nel tentativo (in questo caso fantasioso più che audace) di non dipendere dal dollaro.

Ma a conferma di un equilibrio internazionale instabile vi è il fatto che altri sei paesi abbiano chiesto di aggregarsi ai BRICS per far sentire la propria voce e contare di più nel contesto internazionale.

L’Europa non può restare alla finestra. Ciò che occorre è un rilancio dell’integrazione con una riforma sostanziale del modo di funzionare dell’Unione per consentirle di affrontare con sufficiente autorevolezza le grandi questioni che nessuno dei nostri Stati può affrontare da solo con efficacia, dalle migrazioni all’ambiente, alla sicurezza.

E sulla sicurezza e sulla politica estera, se non vogliamo un’Europa subordinata e silente, si deve affermare la possibilità di decidere con il voto a maggioranza, altrimenti non si arriverà a nessuna decisione, perdendosi ancora nei Comunicati di rito.

Il Governo italiano su questi nodi cosa dice? Il ruolo che spetta al nostro paese, che è stato uno dei sei fondatori della Comunità europea e ha dato contributi fondamentali al processo di integrazione, con personalità come De Gasperi e come Spinelli, ebbene questo ruolo oggi come si esprime?

Alle prese con la revisione del PNRR, con tagli ai progetti dei Comuni e agli investimenti in settori sensibili, il Governo non trova di meglio che attaccare l’Unione Europea e lo stesso Commissario Gentiloni, accusato di non difendere gli interessi nazionali. La Meloni sembra dimenticare che Gentiloni è là per fare gli interessi comuni dell’Europa, non il cane da guardia di quelli del suo Paese. Perché se tutti i Commissari facessero così, forse l’Italia non sarebbe il Paese che più di tutti gli altri ha beneficiato di contributi e prestiti praticamente gratuiti previsti dal Next Generation Eu.

L’impoverimento dell’iniziativa sui temi europei si vede anche nella nostra regione.

Il dibattito sul suo ruolo internazionale, un tempo assai vivace, non esiste e sono presenti forse solo a parole nell’agenda politica della maggioranza Istituti come l’Euregio “Senza Confini” su cui avevamo tanto investito, la Macroregione Adriatico-Ionica di cui la nostra regione è stato pilastro, le relazioni con quella danubiana, le infrastrutture dei due grandi corridoi pan-europei che si incrociano nel FVG.

La riflessione sul ruolo internazionale del FVG anche nell’ottica dell’area geografica che la circonda, dai Balcani occidentali, che hanno intrapresa la strada dell’integrazione europea, ai Paesi della Mitteleuropa, qual è? E il nostro ruolo, oggi che le tensioni recenti tra Serbia e Kosovo si acuiscono?

La nostra riflessione vede da un lato la tradizione culturale della Mitteleuropa, dall’altro gli interessi economici dei Paesi dell’area Visegrad (e delle potenze che sono alle loro spalle): ma solo la nostra visione apre opportunità e configura il FVG come obiettivo sensibile di attenzione geopolitica. In questo senso, vanno coltivate nuovamente le prospettive di una proiezione internazionale verso i Balcani e verso i baricentri della nuova Europa allargata.

Anche perché i collegamenti di questa regione con il resto dell’Italia e con i paesi confinanti sono del tutto inadeguati.

Anche i rapporti con le comunità degli Italiani in Istria, Quarnero e Dalmazia andrebbero ripensati e rinforzati nell’ottica dell’integrazione europea, di una cultura condivisa come lo è stata per secoli da una parte e dell’altra dell’Adriatico, “il mare dell’intimità”, come scriveva Matvejević.

Ma Fedriga, si sa, non vuole disturbare nessuno. Amministra, non governa. Non ha un progetto per come sarà la regione nel 2030.

E così non viene giocata questa carta che potrebbero allentare l’isolamento del FVG e dare più respiro ai nostri scali marittimi, spazi di iniziativa e scambi alle nostre imprese, qualificando il ruolo della regione.

Perché la nostra regione è la più europea d’Italia.

Pensare, come crede la destra al governo della Regione, di risolvere i problemi in piena autarchia, senza nessun rapporto transfrontaliero, con la solita demagogia e l’illusione di fare da solo ci sta portando a essere solo una piccola periferia arretrata.

E mentre vediamo muri che si alzano, uno scaricabarile costante sulla questione immigrazione, paesi che si irrigidiscono nelle loro posizioni, prospettive economiche al ribasso, con una pandemia epocale e con la guerra in Ucraina, noi sogniamo per noi e per i nostri figli e nipoti un mondo che si apre, un’economia che cresce, con nuove possibilità, e muri che cadono, e popoli che si riappacificano e convivono sugli stessi territori con sintonia.

È la differenza tra il costruire un’Europa di pace e un mondo di guerre, è la differenza tra la speranza e la rassegnazione.

Ed è anche per questo che il PD del Friuli Venezia Giulia deve sostenere con forza l’impegno per la pace in Ucraina, assieme al sostegno e alla vicinanza con il popolo ucraino di fronte all’intollerabile aggressione della Russia. Con la nostra storia regionale, con i vissuti familiari e sociali dei nostri territori, spetta proprio a noi insistere perché nel paese si riprenda a parlarne: perché la pace in Ucraina non è impossibile.

Nella cornice delle alleanze e nella scala che è data, un ruolo lo potrebbe giocare la nostra regione: il FVG ha l’esperienza per prendere iniziative.

Serve una pace che porti benessere, una pace giusta che porti democrazia, che porti libertà.

Sul piano nazionale, a un anno dal governo Meloni, il clima nel Paese è di profonda stanchezza e disillusione. Le mirabolanti promesse elettorali della destra si sono schiantate davanti al muro della realtà. Quest’anno di governo è scivolato nella totale inazione di un governo capace solo di svantaggiare i più deboli, i poveri, i precari.

Così mentre oggi si annuncia un folle taglio ai fondi per la sanità, l’ambiente non è più una questione centrale, il lavoro resta insicuro e mal pagato, i conti pubblici sprofondano. Il Governo Meloni, di volta in volta, cerca capri espiatori e non risolve i problemi e si dimostra buono solo a trovare nemici a cui addossare le colpe della propria incompetenza.

Forte con i deboli e deboli con i forti, la destra difende gli interessi delle corporazioni e dimentica gli altri, aiuta chi evade e punisce gli onesti.

Anche in UE il governo si muove in una pericolosa solitudine, trovando modo di litigare oggi con la Francia, domani con la Germania e cercando sponde con i governi sovranisti, gli stessi che impediscono che l’UE posso concretamente aiutare il Paese di fronte alle ondate migratorie.

Per questo il nostro autunno sarà un autunno di piazza, di mobilitazioni: domani (sabato) ci sarà una piazza indetta dalla CGIL “La via maestra” per ricordare valori e principi costituzionali ancora disattesi. Anche il PD sarà in piazza, e non a rimorchio, per chiedere una vera lotta contro l’evasione fiscale, un’attenzione alla crescita del PIL, politiche industriali che guidino la transizione ecologica progressiva, una strategia per il debito pubblico che cresce e ci espone, una manovra d’autunno che guardi alle famiglie, ai lavoratori, un patto sociale per difendere i redditi, una legge sui salari minimo, misure e risorse per garantire i rinnovi di contratti scaduti. Senza toccare l’assegno unico familiare.

Di fronte a questi scenari, a queste difficoltà, di fronte a una nuova disillusione, molte persone restano apatiche, distanti dalla politica, disertano le urne credendo che ormai le istituzioni abbiano poco o nulla da dire loro.

E così il compito principale del Pd è ridare speranza, far credere ancora alle persone che la loro vita può cambiare e in meglio.

Dobbiamo anche rassicurare chi ha paura di perdere il minimo benessere conquistato, quel ceto medio che vede erodere il proprio potere d’acquisto e la prospettiva della qualità della vita per la società.

E a essere colpiti sono soprattutto gli esclusi dalla società, gli emarginati: le donne, i giovani, gli sfruttati del mondo del lavoro, gli immigrati, gli esclusi dalla digitalizzazione, coloro che non hanno gli strumenti per emanciparsi. Oggi il discrimine dell’inclusione/esclusione passa anche dalla quantità di informazioni a cui una persona può accedere e se ne resta estraneo. E cresce la frustrazione e il senso di impotenza per le diseguaglianze sociali ed economiche che sembrano a volte imbattibili, ineludibili.

Noi, la sinistra, è nata per rompere le catene della diseguaglianza.

Spetta alle forze politiche democratiche e progressiste lottare contro la diseguaglianza che è “una violazione della dignità umana; è la negazione della possibilità che ciascuno possa sviluppare le proprie capacità”. “E’ un ordinamento socio-culturale che riduce le capacità, il rispetto e il senso di sé, così come le risorse per partecipare pienamente alla vita sociale”, così dice Salvatore Veca.

Il sogno dell’emancipazione sociale, che è stato anche in FVG una pietra miliare del nostro riscatto, viene annichilito da una cultura diffusa dell’apparenza, dell’immagine. Una cultura del disimpegno dalla società, sempre alla ricerca di affermazione personale e non collettiva. Una cultura individualista.

Noi crediamo invece nei percorsi collettivi, nella prospettiva di un’Europa federale, in un sistema Paese che sa tenere unito il nord e il sud, i centri urbani e le periferie, i piccoli Comuni e le grandi metropoli, che sa ricordarsi che l’identità italiana è un processo sempre in atto attraverso cui definiamo valori, sensibilità, modi di ragionare, di comunicare, esperienze, sogni, strade future.

E proprio il Friuli Venezia Giulia, con le sue tante identità, le sue diverse lingue, la sua storia di territorio, proprio la nostra Regione che è nata nel 1963 dopo un lungo e difficile processo che ha attraversato due guerre mondiali e lotte fratricide, che ha visto il capovolgimento dei nostri mondi, può indicare con fierezza chi decidiamo di essere in relazione al mondo.

La situazione del Friuli Venezia Giulia si colloca in questo scenario.

A livello regionale c’è una destra nazionalista che si presenta qui con Fedriga, il finto volto moderato, ma che in realtà ha in testa un modello di società che esclude le fragilità e i poveri, scarta le persone, riduce i servizi pubblici per avvantaggiare il privato, puntando su chi può pagare e lascia indietro tutti gli altri.

È la “cultura dello scarto” di cui parla Papa Francesco. Una cultura che è pronta a puntare il dito e a scagliarsi contro chi è più fragile, contro i poveri. E la povertà è in aumento anche in FVG, che viene vissuta come una colpa, diffondendo pericolosi sentimenti di astio e quasi di ripulsa.

Perché ce lo dicono la Caritas e altri enti di assistenza: le file alle mense dei poveri si stanno allungando, i bambini e le bambine in difficoltà sono tanti, troppi, al punto che alcuni di essi trovano a scuola l’unico pasto completo della giornata, l’unico momento di cura da parte di un mondo degli adulti che fa grande fatica a tenere insieme un lavoro frenetico e una lunga corsa ad ostacoli tra mille incombenze e richieste.

Per tanti, la perdita del lavoro costituisce la perdita di ogni certezza e di ogni punto di riferimento, senza paracaduti. In un mondo sempre più competitivo e feroce non tutti possono farcela da soli. E la fragilità non può e non deve mai essere considerata una colpa.

In un mondo sempre più digitale e connesso, da cui molti si sentono esclusi, il lavoro deve essere la nostra preoccupazione costante, nell’attenzione alle distorsioni del nostro sistema.

Vogliamo stare vicini al nostro elettorato classico e anche riallacciare il dialogo con il lavoro autonomo, le partite IVA e le tante forme di nuovo precariato e lavoro atipico che interessa molti giovani.

Anche in FVG assistiamo al fenomeno del lavoro povero, uno degli scandali moderni più gravi, e del lavoro precario, che causa il ritardo delle tappe della vita dei giovani e impedisce loro di crearsi una prospettiva familiare e sociale più stabile. Fenomeni che riguardano trasversalmente dipendenti e autonomi.

E dobbiamo batterci per un lavoro che sia pagato dignitosamente, per questo sosteniamo la battaglia sul salario minimo e facciamo nostro un tema doloroso, quello della sicurezza sul lavoro, che vede un drammatico peggioramento quest’anno in FVG, in grave controtendenza rispetto al livello nazionale.

Per questo, il PD deve ripensare le sue modalità per essere presente e interlocutore autentico dei lavoratori, nei luoghi del conflitto e del disagio, anche in raccordo con sindacati e rappresentanze.

In altre parole, dobbiamo passare dalla difesa dei diritti civili individuali alla promozione dei diritti sociali, collettivi, da promuovere e difendere con una costante lotta alle disuguaglianze. E questi diritti sono da esigere anche dove non c’è rappresentanza sindacale, anche per il lavoratore solo con la sua partita Iva o per un datore di lavoro che deve a sua volta far quadrare i conti.

Oggi in FVG l’8,5% delle famiglie si trova in condizioni di povertà relativa. È un trend che continua a peggiorare e che assume forme più o meno gravi a seconda delle tipologie familiari, delle condizioni occupazionali, dei livelli di istruzione e della disomogeneità della rete di servizi di welfare nelle diverse aree della regione.

A peggiorare la situazione vi è la recrudescenza dell’inflazione, la denatalità e l’invecchiamento demografico, l’abbandono scolastico. Si aggravano pertanto i rischi di emarginazione, di distanziamento sociale, di esclusione da livelli adeguati di assistenza socio-sanitaria.

E gli immigrati sono lasciati a se stessi, da Trieste a Pordenone. Il Partito Democratico anche qui deve pretendere una gestione dell’immigrazione che sia umana e degna di un paese civile, che riconosca il carattere storico del fenomeno e provi a governarlo, non a usarlo come fa la destra per seminare paura e insicurezza. Ed è indegno il trattamento dei migranti al Cara di Gradisca, così come al Silos di Trieste, dove invece a pochi giorni dagli sgombri è tornata una drammatica ordinarietà di degrado e solitudine.

Il Partito Democratico del FVG deve tenere alta l’attenzione perché chi governa attui politiche di integrazione e inclusione, sostenere i progetti delle amministrazioni locali più lungimiranti, guardando in particolare anche alla fondamentale funzione della scuola come agente di integrazione delle seconde e terze generazioni, per prevenire le tensioni sociali.

Infine, la nostra è una regione ancora dinamica e piena di risorse, in cui Fedriga ha un’ottima capacità di spesa, ma nessuna strategia su come investirla!

E pongo qui il grande tema della manifattura, degli insediamenti industriali del Pordenonese, del Friuli e dell’area triestina. Manca totalmente un progetto di sviluppo regionale e una seria interlocuzione con Roma sugli insediamenti strategici di Porcia. Temiamo per l’elettrodomestico e in prospettiva anche per l’automotive, come per l’indotto di Wartsilä, dimenticato. L’industria friulana resiste ma rallenta, mentre l’economia tedesca continua a mostrare segni di debolezza che incidono sui sistemi produttivi molto integrati quale quello friulano, considerato che la Germania è da sempre il primo partner commerciale per le imprese del nostro territorio.

È poi il rallentamento dell’industria a infliggere un duro colpo al livello di occupazione in Friuli Venezia Giulia. La crisi in cui è entrata la manifattura, a causa del calo dell’economia tedesca, ora desta preoccupazione anche per i suoi risvolti occupazionali.

Problemi specifici pone anche la cantieristica, soprattutto a Monfalcone, che rappresenta un pezzo fondamentale dell’economia regionale. Ma lì si pone una criticità seria sulle garanzie che coinvolgono tutta la manodopera impiegata direttamente o indirettamente in questo settore strategico.

Ed è una buona notizia l’annuncio di Zeno D’Agostino che con i fondi PNRR si sta provvedendo alla progettazione dell’elettrificazione delle banchine.

Bisogna aiutare le nostre piccole e medie imprese per metterle in condizione di competere in un mercato molto aggressivo (dove la tassazione varia e i costi dell’energia sono diversi a seconda dei territori), anche accompagnandole in quella transizione ecologica fondamentale per competere sui mercati dentro e fuori l’Italia e ancor più importante per il benessere dei cittadini ed il futuro del nostro pianeta. Su questo il governo regionale deve fare la sua parte perché siano in grado di competere.

Mentre sulla vocazione turistica della regione, siamo convinti del fatto che il turismo non basta a creare lo sviluppo di una regione per il tipo di economia che crea, per la qualità di occupazione che genera. Lo si vede bene a Trieste con la crocieristica.

Su questi temi, industria e infrastrutture strategiche, intendo aprire un luogo di approfondimento dedicato. Ne abbiamo bisogno.

Guardo poi al tema ambientale, che deve essere centrale della nostra azione politica, ma in modo non ideologico, tenendo ferme le questioni dello sviluppo del territorio, guardando alle prospettive di crescita anche economica della regione.

E non dobbiamo mai dimenticare quello che in questa regione abbiamo vissuto: ricorrerà a giorni il sessantesimo anniversario dalla tragedia del Vajont. Quella vicenda ci ammonisce a non crederci superiori alla natura.

In generale, la Giunta Fedriga si dimentica della gestione dei territori, dell’ordinaria manutenzione, della progettazione in prospettiva futura e il danno è economico con i danni sul commercio e le esportazioni. I cittadini del FVG aspettano ancora dal governo le centinaia di milioni che servono a ristorare le perdite degli agricoltori, i danni alle imprese e alle famiglie.

Manca poi un investimento vero sulle rinnovabili e più in generale sul riutilizzo, il riciclo e il contenimento degli sprechi.

Dobbiamo sollecitare la programmazione di interventi di tutela e prevenzione che guardino al medio e lungo periodo, evitando di intervenire soltanto con politiche emergenziali, in perenne “deroga” alle normative.

E favorire una nuova cultura diffusa della sostenibilità, una nuova sensibilità che le generazioni più giovani hanno, anche perché studiano i 17 obiettivi dell’Agenda 2030.

Si tratta di priorità che devono trasversalmente permeare la cultura politica e i programmi del Partito Democratico, Affinché si realizzi una transizione ecologica progressiva con progetti concreti, in cui il mondo produttivo e la ricerca scientifica stanno già investendo massicciamente.

Si tratta, allora, di aiutare tutti coloro che faticano a compiere i passi necessari, anche per ragioni economiche. Vanno finanziati programmi che consentano ai cittadini di rinnovare le proprie abitazioni, i mezzi di trasporto e i servizi. Dobbiamo fare in modo che la transizione ecologica sia possibile per tutti, nei centri urbani come nei piccoli Comuni, perché è possibile immaginare una città vivibile, sana, pulita, sicura, declinando la tematica ambientale anche nelle dimensioni urbane.

siano presenti ed efficienti, dove chi vuole futuro non si trovi costretto a emigrare.

In una regione dove c’è cura dell’ambiente, dove ci sono servizi, dove ci sono prospettive di futuro, si resta a vivere più volentieri. E uno dei problemi più gravi del nostro territorio regionale è la partenza di molti giovani. Nel 2022 se ne sono andati tanti, troppi: oltre 4 residenti su mille. Il FVG ha il primato italiano, ha il più alto tasso di migrazioni.

La nostra regione decresce demograficamente, perdendo oltre 7.000 persone dal 2020 a oggi che hanno spostato la residenza altrove, facendo scendere il FVG sotto la soglia del milione e 200mila unità.

La partenza di giovani qualificati lascia gli anziani più soli, le famiglie più in difficoltà a dover gestire la mancanza di servizi e una vita sempre più complicata.

L’impoverimento del nostro tessuto sociale, economico, familiare nasce anche da qui: molti di questi giovani sperano di potersi avvicinare a casa, alle loro famiglie di origine, cercano solo l’occasione buona per tornare senza dover sacrificare le loro professionalità. Spetta alla politica regionale avere un occhio di riguardo per loro.

Qui troviamo anche il grande tema della natalità, perché in FVG c’è uno dei tre tassi di natalità più bassi dell’Italia. Sono dati allarmanti. Servono politiche a sostegno delle famiglie e un ripensamento dei servizi che tenga conto non delle necessità di ieri, ma dei bisogni di oggi.

Ma i dati Istat ci dicono anche che in FVG cresce, invece, il numero di persone analfabete, quelle che dichiarano di non saper leggere né scrivere, e senza titolo di studio. Rappresentano il 2,8% dei residenti, pari a oltre 33mila persone. Non sono pochi. È una questione che pone un serio problema di inclusione sociale, ma anche di socialità, di possibilità lavorative, di strumenti culturali adeguati.

Va quindi tutto bene in FVG? Direi di no.

Tutti questi problemi li conosciamo perché li viviamo e non sono estranei da noi.

Per questo, sentiamo la necessità di dire la verità: la Giunta Fedriga non ha un’idea di Friuli Venezia Giulia, non ha una strategia su dove condurre la nostra regione e sul futuro della nostra regione.

Hanno messo in competizione i territori favorendo alcuni Comuni a discapito di altri, mentre invece andrebbe perseguita una strategia di lungo periodo che favorisca lo sviluppo dell’intero territorio regionale.

Penso al caso di Gorizia/Nova Gorica Capitale europea della Cultura 2025: l’Isontino rischia di restare per il resto dimenticata dall’amministrazione regionale e l’appuntamento 2025 rischia di essere una delle tante kermesse che non lascia niente sul territorio, governata come stiamo leggendo sui giornali, con tanta approssimazione e faciloneria.

Lo ripetiamo, la competizione tra aree fa male perché isola e dimentica, e soprattutto non crea una prospettiva di sviluppo regionale unitaria.

Il partito regionale ha il compito di proporre un’idea di sviluppo armonico del FVG, che è composto da identità diverse, storicamente e culturalmente, ma che solo insieme possono giocare il proprio ruolo nazionale ed internazionale, esercitando anche l’autonomia regionale.

Dobbiamo dare una risposta agli interrogativi che vengono posti dal Friuli, confidando in primo luogo nelle forze e nell’orgoglio del Friuli, senza cui non saremo mai “sistema regione”. Senza dialogo e sinergia territoriale continueremo nella pratica del policentrismo, che oggi garantisce pochi e indebolisce tutti gli altri.

Siamo una regione che ha bisogno di un investimento maggiore sulla sanità pubblica, perché è sotto gli occhi di tutti come questo baluardo del nostro sistema di welfare sia in sofferenza lasciando spazio al privato e moltiplicando le iniquità. Siamo per una sanità che dia servizi a tutti, e che non costringa qualcuno a rinunciare alle cure né crei sacche di privilegio solo per chi può pagare. Per noi la salute resta un diritto importante in un sistema universale, solidale ed equo, a cui si contribuisce in base alle proprie possibilità e si riceve in base alle proprie necessità. Continueremo a fare battaglia come stiamo facendo già in Consiglio regionale.

Bisogna poi aiutare i Comuni che sono in enormi difficoltà e dove spesso non c’è il personale necessario, dove i sindaci e gli amministratori si riducono a fare quasi tutto, assumendosi molte responsabilità. Così non va.

Non basta dire “Torniamo alle province”, come fa la Giunta regionale. Noi su questo ricordiamo che la loro abolizione fu votata all’unanimità quasi dieci anni fa e, se oggi Fedriga le sventola, è più per propaganda che per reale necessità sentita da cittadini e imprese.

Vanno aiutati appunto i Comuni, perché l’identità di un territorio non si determina con i confini provinciali ma si promuove con azioni specifiche. Serve quindi una visione per il futuro, non un ritorno al passato sugli enti territoriali. Se non sanno immaginare nulla di nuovo, è perché sono incapaci di pensare e di progettare, inseguendo solo il consenso elettorale e mantenendo tutto immobile com’è.

Sulla questione della scuola pubblica, sull’istruzione, la ricerca e formazione permanente, vi sono competenze importanti in campo alla regione. Solo investendo di più sull’istruzione si potrà dare la possibilità di emanciparsi a chi nasce svantaggiato.

Ma il dimensionamento scolastico creerà forme di reggenze mascherate e situazioni insopportabili con la creazione di istituti sovradimensionati, assai complessi da gestire. E accanto a questo si sommeranno i problemi di carenza del personale dirigente e amministrativo già oggi riscontrabili. Sarà penalizzata l’utenza, cioè le famiglie.

Infine, sulle questioni di una nuova cultura della parità la Regione deve attuare tutte le sue competenze per favorire la parità sostanziale, per rafforzare i Centri antiviolenza, la presenza di case-rifugio, e per combattere la violenza di genere, un fenomeno gravissimo che anche nella nostra regione esiste, eccome, in silenzio… perché molto resta nel sommerso e nelle storie personali sussurrate. Su questo anche il nostro partito deve fare una riflessione sincera al suo interno, sugli stereotipi nei quali siamo tutti immersi. Dobbiamo cambiare cultura.

NOI

Questi temi, questi problemi abbiamo sotto gli occhi. E a noi, come partito, viene chiesto prima di tutto di essere in ascolto delle persone e presenti sui territori. Non ci nascondiamo che questa è la principale sfida che deve affrontare il Partito Democratico, a tutti i livelli.

Parlare con le persone, confrontarci con loro, stare vicini in tutti i sensi, con costanza, con autenticità. Così come lo fanno i nostri amministratori. E dobbiamo farlo sempre, non solo nei mesi delle campagne elettorali.

Perché i piccoli problemi delle persone sono i grandi problemi di cui deve occuparsi il partito.

Per questo, diamoci tre cardini:

  1. FARE OPPOSIZIONE.

Mettiamocelo in testa: dobbiamo fare un’opposizione forte, dentro e fuori le istituzioni. Un’opposizione senza sconti in Consiglio regionale, ma soprattutto un’opposizione senza sconti in Friuli Venezia Giulia. Contraddizioni e inadempienze del centrodestra sono evidenti a tutti.

Dobbiamo fare un’opposizione dura sulle prospettive economiche e occupazionali nella regione per i cittadini, così come sulla perdita del potere d’acquisto, responsabilità da cui Fedriga e i suoi non possono rimanere esenti. Bisogna smascherare la tattica di Fedriga, che di fronte ai problemi scompare e si fa trovare da un’altra parte a parlare di tutt’altro.

Per fare bene il lavoro di opposizione, dobbiamo essere più competenti, più veloci, più preparati. Ci serve studiare di più. Ci serve capire anche i cardini di una comunicazione mediatica impregnata di leaderismo. Sappiamo bene di cosa parliamo… Far uscire le notizie spesso è complicato.

Dobbiamo ragionare anche su come veicolare meglio le notizie pure tra gli iscritti, per muoverci con più forza e capillarità.

Perché si tratta, appunto, di esserci, di essere radicati sul territorio, perché far politica vuol dire anche fare lo sforzo qualche volta di uscire di casa e farsi vedere nei momenti delle aggregazioni sociali e istituzionali, sempre presidiate dalla destra. Non abbiamo paura di mostrarci ed essere credibili nelle nostre proposte.

Per questo dico che c’è bisogno di qualcosa che finora non siamo riusciti a fare fino in fondo. Forse non sono le parole che vi aspettate di sentire, in un mondo che ci regala il sogno utopico del successo facile (sui social nessuno è mai sudato, sono tutti sorridenti e abbronzati).

Ma io penso che questo sia il tempo in cui noi dobbiamo fare fatica. Più fatica di quanto abbiamo fatto finora. Una fatica più organizzata, “una bella fatica”, come ha detto qualcuno, nell’attuare uno stato di mobilitazione costante in Regione e nei circoli.

Dobbiamo organizzarci meglio per insistere sul tema della sanità pubblica, dei servizi, della cultura, delle opportunità. Dobbiamo coinvolgere i diversi attori della società e costruire insieme a loro, perché queste questioni c’è una sensibilità attenta, molto più di quanto immaginiamo.

È importante che il gruppo consiliare regionale, nella sua autonomia, sia interfaccia istituzionale del partito e sia capace di trasformare in atti formali e proposte puntuali una strategia e una visione alternativa.

E vorrei coinvolgere di più anche le nostre parlamentari sui temi del territorio: sono un valore aggiunto per tutta la regione e invito Federazioni e Circoli a fare squadra con loro.

Serve lo sforzo di tutto il partito, insieme, sapendo che però neanche il PD basta a se stesso.

Per questo arrivo al secondo cardine:

  • PD PERNO DI ALLEANZE SOCIALI E POLITICHE

Penso a un partito aperto, che coinvolga le varie articolazioni della società, i sindacati e le categorie produttive, la cooperazione sociale e l’associazionismo, il mondo del volontariato, il mondo della cultura e dello sport, le università e gli enti di ricerca, le altre forze politiche.

Ci sono forze sopite nella società civile che possono essere ri-motivamente. E riappariranno anche i delusi del centrodestra, e qualcuno dovrà parlare anche con loro.

Noi ci riconosciamo nella famiglia europea dei Progressisti e Riformisti, e vogliamo rappresentare gli interessi collettivi di coloro che hanno l’obiettivo di costruire una società più equa e civile, di coloro che subiscono ingiustizie e rimangono indietro, di migliaia di persone e famiglie che chiedono certezze e stabilità. Dobbiamo essere consapevoli della composizione sociale anagrafica e demografica della regione, saper parlare a una parte di cittadini che si aspettano di ritrovare in noi i riferimenti tradizionali.

Il partito ha il compito di mettere in campo delle proposte e un nuovo modo di discuterle, maggiormente coinvolgente e inclusivo.

Non possiamo farci bastare di essere la prima forza politica in regione. Quel 16% – che ci sta stretto – è solo un punto di partenza verso la prospettiva delle prossime scadenze elettorali, uno stimolo per radicarci.

Dobbiamo guardare con favore al civismo che, quando è vero e non mascherato, è stato un alleato prezioso del centrosinistra nel governo di tante amministrazioni locali del FVG.

Ma oggi lo spazio dei cosiddetti “moderati” è sempre più occupato dalle forze del centrodestra, per la percezione che la Giunta Fedriga riesce a trasmettere. Anche se oggi più che mai si vedono le increspature della maggioranza, con un braccio di ferro tra FDI e Lega che ha portato alla caduta della Giunta a Grado, al cambio di deleghe a Trieste, al cambio di assessori a Gorizia.

Dobbiamo essere bravi a mettere in evidenza le loro differenze, a insinuarci nelle loro spaccature per indebolire la rete capillare, ubbidiente e mobilitante, che il potere regionale in questo momento attrae.

Se torneremo a lavorare insieme per rafforzare il campo democratico, se uniremo le forze politiche e sociali con cui condividiamo visioni e ideali, riusciremo nel nostro intento di rappresentare l’alternativa che in molti aspettano. Potremo costruire percorsi comuni vincenti, sempre nel rispetto delle diverse sensibilità.

Per questo penso che da vadano costruite da subito le condizioni per ragionare insieme anche nell’ottica delle sfide amministrative del 2024, per l’elezione di quei 110 e passa nuovi sindaci. E nella prospettiva, poi, delle elezioni comunali a Pordenone e Trieste.

Proseguiamo nell’impegno comune della ricostruzione del centro-sinistra e in una nuova elaborazione culturale, senza mai perdere di vista i valori che condividiamo e il bisogno di innovazione del nostro campo. Il Partito Democratico del Friuli Venezia Giulia c’è per lavorare insieme e condividere con tutti coloro che ci credono l’ambizione di una regione migliore, più giusta, più equa, più inclusiva.

  • IL RUOLO DEL PD

Dobbiamo trarre fuori il meglio di noi stessi. Perché rivincere tra 5 anni si può! E la bellissima vittoria di Udine ce lo insegna e ci indica un sogno possibile.

Ma abbiamo bisogno di un partito autonomo, grande, radicato, che sia capace di parlare al quel 50% di persone che non va a e di proporre loro non un radicalismo confuso e minoritario, ma un progetto chiaro, radicale in senso etimologico (di “radice”), perché radicali sono le domande che provengono dalla società. Lo spostamento elettorale dalla Lega a Fratelli d’Italia non è un caso: chi va a votare spesso lo fa per rappresentare un bisogno urgente, impellente di risposte ai problemi concreti e asfissianti davanti a cui si trova.

Dunque, dobbiamo offrire un progetto concreto e convincente, che riguardi le persone: essere l’alternativa culturale alla Destra ed essere portatori di una proposta elettoralmente credibile perché prospetta un miglioramento che riguarda la vita delle persone e delle comunità. Così si può declinare nei fatti il valore della lotta per una società equa e giusta.

Il compito del PD è quello di aprire dibattiti, confronti, discussioni e stare in quelle discussioni per generare opinione, per svolgere un ruolo di riferimento e orientamento, avendo compreso le esigenze, le preoccupazioni, le angosce dei cittadini.

I Circoli devono essere il perno di queste discussioni. Ecco perché il ruolo dei circoli va rafforzato, e ne vanno consolidate e rinvigorite la funzione, la capacità di creare iniziativa politica, la possibilità anche economica di fare attività.

Nella fase congressuale, abbiamo incontrato Circoli vivaci, con una presenza numerosa e attiva, ma anche Circoli che fanno difficoltà a riunirsi, a costruire momento di discussione politica e di azione politica… Circoli appesi alla buona volontà di pochi che “resistono”. E oltre 40% dei nostri iscritti non ha partecipato alla fase congressuale.

A tutti i segretari di Circolo dico che vi staremo vicini, insieme ai segretari di Federazione, per ripartire nella missione che ci diamo come comunità politica.

Il tesseramento è necessario: so bene quanto il tesseramento solo online lo scorso anno abbia messo in discussione la partecipazione e la vicinanza di alcuni. Bene quindi la formula “mista”, online e cartacea prevista per quest’anno, ma chiedo a tutti uno sforzo nel fare il tesseramento in questi mesi autunnali per agganciare, interloquire, attirare persone nuove, che – anche con le primarie tra Elly Schlein e Stefano Bonaccini – si sono avvicinate o aspettano di avvicinarsi, ma guardano al PD come un partito serio, plurale, aperto.

Il problema del sostentamento economico del partito va affrontato non solo in campagna elettorale. E voglio ringraziare qui tutto il personale del partito che ha passato anni difficili, così come il tesoriere Paolo Mezzorana e tutti coloro che – sono diversi! – di tasca propria, con generosità, assicurano il mantenimento delle sedi. Un grosso problema che va affrontato e non eluso, e va affrontato anche con il partito nazionale.

Perché abbiamo bisogno di preservare le sedi fisiche dei circoli, che sono presidi e punti di riferimento sul territorio dove trovare anche persone disponibili alla relazione, piccole comunità politiche stabili in cui si discute dai problemi del marciapiedi alle grandi problematiche del nostro tempo.

Questa responsabilità è in capo soprattutto ai Segretari di circolo e ai direttivi di Circolo. Senza di voi, senza il vostro impegno, la vostra capacità di intessere relazioni, la vostra disponibilità di tempo ed energie, il partito si arenerebbe.

Vanno sostenuti nel loro incarico, non vanno lasciati soli. Chiederò anche ai consiglieri regionali una mano per i territori: ne abbiamo davvero bisogno.

Il partito può organizzarsi meglio: la Segreteria regionale lavorerà in stretto raccordo con le Federazioni provinciali, spesso grandi e oberate di lavoro. Per questo è essenziale dare voce ai territori, promuovendo l’istituzione dei coordinamenti territoriali che siano cinghia di trasmissione tra il Partito regionale, quello provinciale e il territorio.

Vorrei che il PD sia un luogo di studio che, pregiandosi delle competenze e conoscenze di tanti iscritti e militanti, e di una rete di rapporti solida e radicata in Italia, sappia essere punto di osservazione del Friuli Venezia Giulia che cambia e sia in grado di programmare il futuro della Regione che vogliamo.

Operiamo per costruire un partito non di una piccola élite, ma di popolo, in grado di raccogliere l’adesione di giovani, donne e uomini rappresentandone ideali, bisogni e aspirazioni, con una “cultura di partito”.

Un partito strutturato, inclusivo, che ha nelle sue fonti fondative la bellezza del pluralismo.

Un partito che sostenga i suoi amministratori locali, che troppe volte si sentono soli: bene quindi la rete degli amministratori del FVG, bene l’idea di riunioni periodiche sui territori per dialogare e raccogliere informazioni e costruire azioni politiche. Bene la condivisione totale con i territori anche in vista delle scelte delle elezioni amministrative. Lo dico subito: nessuna scelta sia calata dall’alto. Serve condivisione, ascolto, e una partecipazione larga e fruttuosa.

Il raccordo tra circolo e partito è fondamentale. Ma lo è anche tra partito e consiglieri, che significa anche un’opera di studio e comprensione delle problematiche, una discussione politica, una condivisione della prospettiva, e una voce sola per esprimersi all’esterno.

Questo non vuol dire che non ci possano essere idee diverse, significa che le discussioni, le posizioni discusse siano in qualche misura vincolanti per tutti. Perché questo significa fare politica in una comunità, perché non c’è uno solo che comanda, ma tutti, ognuno di noi negli organismi del partito possiamo contribuire a delineare la posizione del partito.

È fondamentale che gli organismi del partito abbiano piena legittimità come luogo di discussione e decisione della linea politica, vincolante per gli iscritti, superando la divisione tra sinistra e centristi, perché tutti ci consideriamo “progressisti nei valori e riformisti nel metodo”. Ciascuno/a deve sentirsi coinvolto/a e, quota parte, responsabile dei processi politici da indirizzare al territorio, in uno sforzo collettivo e fruttuoso.

Cerchiamo anche di essere un partito aperto e non respingente, una comunità dove ti viene voglia di restare e non di scappare via.

Per questo, il protagonismo individuale deve lasciare il posto all’espressione del nostro soggetto collettivo, sostituendo l’io con il noi. Nei circoli questo punto è emerso più volte, segno di un’esigenza profonda di sentirsi comunità. Chiedo a tutti di avere il coraggio di dire quello che si pensa nei luoghi del partito, non sui giornali. Non “lavorando i fianchi” di questo o di quel segretario, ma lavorando insieme. Con un’unità che va praticata, non solo declamata.

Anche i forum del partito devono ritrovare la loro ragion d’essere, e coinvolgere i professionisti, gli esperti, coloro che hanno competenze specifiche, anche coloro che per varie ragioni non si possono o non si vogliono tesserare. Abbiamo bisogno di tutti per articolare proposte e idee. Un partito che non studia o non approfondisce non va lontano.

E, insieme ai forum, ho in mente di rilanciare la scuola di formazione politica “Elvio Ruffino” per approfondire le competenze interne ed attrarre nuove energie. Sarà vitale anche per consentirci di formare da subito una nuova classe dirigente, che va selezionata non sulla base della fedeltà a un capo, ma della capacità di relazionarsi in modo positivo e costruttivo, tessendo rapporti e non escludendo. Una classe dirigente che sia autonoma politicamente, che abbia la forza di dire quello che pensa, non quello che conviene. Così si crescono giovani politicamente liberi e autonomi.

E così, lo dico per esperienza personale, anche la giovanile può pensare di realizzare la sua funzione politica anche in funzione del partito regionale e aiutare a far crescere una generazione libera e autorevole, che conosce il territorio e i meccanismi della politica. Guardo con plauso all’esperienza che stanno facendo i GD nel territorio udinese e auspico che lo stesso sia possibile nelle altre federazioni. Perché non c’è miglior scuola politica che la progressiva assunzione di responsabilità.

Ed è importante che le Donne Democratiche riprendano forza e facciano attività, elaborazione, che aiutino il partito sulle questioni culturali, incentivando a politiche verso una parità di genere sostanziale: contro la violenza sulle donne, per una nuova cultura della parità anche tra i giovani, per il sostegno alle famiglie e alla conciliazione dei tempi di lavoro e i tempi di vita per donne e uomini. E che sostengano la battaglia dell’introduzione della doppia preferenza di genere in Consiglio regionale non solo per rappresentarla, ma per vincerla.

Sono battaglie che le Donne Democratiche del FVG devono incarnare, e nella loro autonomia, diffondere con forza e radicalità.

Ed è importante e sono felice che il Coordinamento degli sloveni del nostro partito si sia recentemente rinnovato, con la carica di coordinatrice a Valentina Repini, perché ci consentirà di fare una discussione matura anche sulla rappresentanza slovena. Perché il nostro è un partito plurale, interculturale, che vede le diversità linguistiche e culturali non come barriere ma come opportunità per tutta la comunità regionale e, sul piano politico, come non come steccati etnici ma come valori politici che sono patrimonio di tutta la comunità democratica.

Infine, nel partito serve una vera collegialità nelle scelte: nessuno da solo/a può portare il peso della responsabilità del partito, sarebbe troppo per chiunque, anche per il più bravo. La migliore leadership solitaria si brucia in pochi mesi, lo abbiamo visto a livello nazionale: negli ultimi anni abbiamo cambiato segretario nazionale quasi ogni anno. L’illusione personalistica vacilla.

Facciamo discussioni libere, un’elaborazione politica dal basso e condivisa, senza sospetti, anche con una dose di serenità e ordinarietà che ci manca. E impariamo gli uni dagli altri.

Serve preparazione e tenacia, perché tutti i venti sono favorevoli per il marinaio che sa dove andare. E noi non dobbiamo avere paura del mare grosso che vediamo all’orizzonte. Ma dobbiamo essere preparati.

C’è una frase di Paolo VI che mi risuona nella testa da settimane: “Fare presto. Fare tutto. Fare bene. Fare lietamente”. Sia questo il nostro assillo.

Ora comincia la salita, ma guardiamoci attorno: siamo in buona compagnia! E sarà tanto più bello quanto più utile, se riusciremo davvero a cambiare la vita delle persone.

Perché la politica, così mi hanno insegnato i miei maestri, è – al fondo – questo: servizio e passione. E così farò la Segretaria regionale, con questo spirito.

Stiamoci vicini, stateci vicini, ce la metteremo tutta, tutta la passione, tutta la forza, tutta l’energia che abbiamo. Guardiamo avanti, guardiamo lontano!

Viva il Partito del Friuli Venezia Giulia! Buon lavoro a tutti/e!

Caterina Conti

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