Intervista a Pier Luigi Bersani
Berlusconi ha colto l’occasione del 25 aprile per proporre un’intesa sulle riforme istituzionali. “Sono parole apprezzabili. Il presidente del consiglio, però, ha scoperto solo di recente la solennità del 25 aprile. Ma più che questi messaggi, colpiscono le sue altalenanti contraddizioni: da mesi va avanti a strappi con i successivi aggiustamenti. Dobbiamo guardare ai fatti, le parole non servono”. In che senso? “Negli ultimi 9 anni, sette sono stati governati dal centrodestra. E si è visto che la democrazia populista non è in grado di decidere. Non ci sono scelte in nessun campo. Né in economia, né sul terreno istituzionale. Un sintomo evidente è l’impennata orgogliosa di Fini. Una reazione che non è la malattia o la medicina della destra, ma è il sintomo di un malessere. Per questo è necessario uscire dalla chiacchiere”. Sta di fatto che stavolta il premier vi chiede collaborazione. “Ma il loro modello di azione non è fatto per decidere. È costruito per accumulare il consenso, ma poi non lo usano per governare. Io ho insomma profonda sfiducia che si voglia mettere davvero mano a qualcosa di concreto. È evidente che in questa maggioranza non ci sono le condizioni per affrontare le riforme. Infatti, prima o poi, davanti alla difficoltà di decidere, Berlusconi prenderà un pretesto qualsiasi per accelerare in curva”. Accelerare verso dove? “Verso le elezioni. O verso un qualsiasi tipo di strappo. La bozza Calderoli che altro era? Un’accelerazione per coniugare solo l’interesse del premier con quello della Lega. In Fini c’è questa consapevolezza. Lui stesso elenca alcuni nodi cruciali: il programma economico da aggiornare alla luce della crisi, il federalismo senza compromettere l’unità del Paese”. Anche il Quirinale, però, vi chiede uno sforzo bipartisan. “Accettiamo l’appello del presidente della Repubblica. Noi, però, una proposta l’abbiamo presentata. Non conosco quella del Pdl. Fini gliel’ha chiesta. Aspetteremo, ma sono pessimista sulla possibilità che questo governo affronti temi cruciali”. Quindi non ci sono le condizioni per un dialogo. “L’opposizione è davanti ad un nuova responsabilità. Bisogna stringere le maglie per una piattaforma che abbia il sapore di un’alternativa di governo. Dobbiamo essere pronti perché il Paese sta scivolando”. Per questo ha proposto il Patto repubblicano pure al presidente della Camera? “Il patto repubblicano non esclude Fini, ma certamente non è rivolto solo a lui. Nella proposta c’è l’esigenza che le forze dell’opposizione sui temi cruciali della democrazia e delle priorità economiche e sociali si rivolgano in modo ampio alle forze sociali civiche e politiche che riconoscono l’esigenza di una svolta che avvenga nel solco della Costituzione”. Questo, però, è uno scenario possibile solo in caso di crisi del governo. “Io voglio capire chi non accetta la deriva. Qualcuno mi ha accusato di fare tattica sulle alleanze, ma è esattamente il contrario. Voglio che siamo noi a interpretare le grandi esigenze sociali e a proporre una forma nuova e più efficiente di bipolarismo”. Ma se entra in crisi la maggioranza ci saranno le elezioni o ci sarà una soluzione intermedia con un governo tecnico? “Quel che vedo è che non si potrà andare avanti così altri tre anni e non vedo scenari intermedi”. Qualcuno ha letto il Patto repubblicano come una premessa per un esecutivo di transizione. “Niente di tutto questo. Non voglio sproloquiare su formule. Credo che, nell’impotenza del centrodestra, qualcuno possa dare uno strattone. Ma la sorte della legislatura non è in mano a un uomo solo, c’è anche il presidente della Repubblica”. Nel ’95, quando entrò in crisi il primo governo Berlusconi, nacque l’esecutivo Dini. “Ogni fase ha il suo schema, ma la storia non si ripete. Vedremo cosa accadrà. Non siamo in condizione ora di indicare soluzioni a tavolino e non abbiamo messo in moto movimenti per un cambio di maggioranza. Quando ho parlato di patto repubblicano, pensavo a cose più profonde. Ad esempio: si può tornare a votare con questa legge elettorale? Si può andare avanti con questo sistema dell’informazione. Possiamo proseguire senza affrontare la crisi economica? Che benefici ci ha portato questa curvatura personalistica della nostra democrazia?”. C’è chi – come il professor Campi – propone di riformare proprio la legge elettorale per poi tornare al voto. Si aspetta che il presidente della Camera opti per questa strada? “Non arrivo a questo. Penso però, se sarà coerente, che dovrà sciogliere alcuni nodi fondamentali: i temi sociali, le norme sugli ammortizzatori sociali, la giustizia (basti pensare alle intercettazioni), il federalismo che è arrivato ai decreti attuativi. La palla, a quel punto, toccherà a Berlusconi. Se saprà risolvere i problemi, andranno avanti, altrimenti si porrà una questione di stabilità politica. Per quanto ci riguarda, il Paese si aspetta solo che lavoriamo a una piattaforma alternativa. E chi fino ad ora ha sonnecchiato dovrà accorgersi che a Palazzo Chigi non si decide niente”. E chi ha sonnecchiato? “Ad esempio qualche rappresentanza sociale. Ho assistito all’ultima assemblea di Confindustria e ho notato un certo spaesamento e ho sentito stavolta parole nette dalla presidente Marcegaglia. C’è sempre meno fiducia. Basta pensare al federalismo: ne parlano continuamente ma poi il Tesoro non ci porta le tabelle. Senza numeri e soldi, questa operazione non esiste”. Ma in caso di voto anticipato, il Pd è pronto? “Non lo vedo per domani ma certamente una fase di logoramento potrebbe portarci fin lì. Stiamo lavorando sul progetto Italia 2011 lanciato nell’ultima direzione. Da lì usciranno le nostre idee per l’alternativa”.